Poeti che scrivono in prosa: Rainer Maria Rilke e Iosif Brodskij

Nuova immagineLa poesia, si sa, non è la più facile delle letture. Difficile che si legga poesia per puro intrattenimento. Nell’opinione comune è spesso associata a stati d’animo di tristezza o malinconia (ma basterebbe qualche pagina di Majakovskij o Pasternak per smentire questa convinzione) oppure ad alcuni noti versi che capita di frequentare quando si è innamorati (ma quanto altro offre la poesia d’amore, dalla mistica tenerezza di John Donne all’audacia di E. E. Cummings, fino alla incandescente purezza di Emily Dickinson, per citare solo tre autori che hanno trattato questo tema con originalità).

Può capitare di innamorarsi di alcuni versi ascoltati o letti per caso, ed è un incontro dei più felici, perché viene voglia di ritrovarli, quei versi, e di leggerne ancora. Ma può anche accadere di sentire la poesia lontana dalla propria esistenza, e che quella porta non si apra mai. Peccato.

Una strada insolita per avvicinarsi ad alcuni autori di poesia, ad un primo approccio forse non facili, è quella di leggere i loro testi in prosa. Alcuni sono immeritatamente ritenuti secondari nella produzione di certi poeti. Si tratta invece di testi che possono far luce sull’universo poetico degli autori, sulle ragioni più profonde della loro poesia, descrivendo in altro modo le stesse emozioni, le stesse riflessioni che si ritrovano poi nei loro versi.

972205_489765751093621_1632608790_nUno degli esempi massimi di scrittura in prosa di un grande poeta sono le Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke (Adelphi). Fra il 1903 e il 1908 Rilke tenne una corrispondenza con Franz Kappus, giovane scrittore che si era rivolto a lui per chiedere alcuni consigli. Si tratta di poche pagine densissime di riflessioni sulla vita e sull’arte, che sanno cogliere le inquietudini, le insicurezze, le paure del giovane interlocutore innalzandole, e trasformandole, in un sublime percorso verso la ricerca di un senso nelle cose che accadono.

Con parole avvolgenti, che sembrano prendere per mano il lettore per spingerlo con dolcezza a toccare i punti più oscuri e difficili dell’esistenza, per conoscerne la reale essenza, Rilke indica un percorso di lenta ricerca della solitudine, amica amata che aiuta l’uomo a riconoscere il proprio destino e che dà un senso a tutte le fatiche, al buio che a volte la vita impone. Ma non si tratta di una solitudine penitenziale, non c’è nulla di oscuro e mortificante, anzi: attraverso la solitudine l’uomo preserva la parte più alta, più sacra dell’esistenza ed è pronto ad offrirsi alla vita, celebrandola e ricercandone la bellezza in tutti i suoi aspetti:

ma molta bellezza c’è qui, perché dovunque è molta bellezza.

La meravigliosa traduzione di Leone Traverso restituisce alle parole di Rilke una nobile, pulita e luminosa chiarezza. Senza timore, dopo la lettura di queste lettere, ci si potrà immergere nei versi delle Elegie Duinesi, riconoscendo un’unica voce e in qualche modo riprendendo il dialogo con il poeta sulla vita, sulla solitudine, sulla bellezza.

Se la poesia di Rilke è “difficile” per le sue evocazioni segrete, a volte mistiche, per la presenza costante nei suoi versi di una dimensione superiore che illumina il discorso poetico, la poesia di un altro grande autore, Iosif Brodskij, ha un felice viatico: la sua musicalità. Incede con un ritmo tutto russo, alto quindi, solenne, ma che si diluisce subito nella fluidità di una lingua che non a caso nel suo alfabeto conserva il “segno dolce”: un piccolo segno grafico che nel russo si mette vicino ad alcune consonanti, appunto per addolcirne la pronuncia. Onore ai traduttori che hanno saputo restituire queste caratteristiche anche alla versione italiana delle poesie di Brodskij.

Espulso dal regime sovietico, il poeta visse in esilio per tutta la sua vita; ma l’esilio fu per lui soprattutto una condizione esistenziale, con l’ombra della Russia che spesso torna, reale o trasfigurata, nei suoi versi, senza tuttavia mai diventare lamentazione nostalgica.

aea0abd500a2e22ad23f4fd8f6d6e78b_w_h_mw650_mhDue prose di Iosif Brodskij ci possono dire chi era il poeta, Nobel per la letteratura nel 1987: Dall’esilio (Adelphi), raccoglie i testi di una conferenza, “La condizione che chiamiamo esilio”, che il poeta tenne a Vienna nel 1987, e “Un volto non comune“, il discorso pronunciato a Stoccolma in occasione del conferimento del Premio Nobel.

La tesi di entrambi i testi, appassionatamente esposta, è che la letteratura è l’unico elemento che può preservare l’integrità morale dell’uomo e della società:

Io non chiedo che si sostituisca lo Stato con una biblioteca – benché quest’idea abbia visitato più volte la mia mente – ma per me non c’è dubbio che, se scegliessimo i nostri governanti sulla base della loro esperienza di lettori, e non sulla base dei loro programmi politici, ci sarebbe assai meno sofferenza sulla terra. Credo che a un potenziale padrone dei nostri destini si dovrebbe domandare, prima di ogni altra cosa, non già quali siano le sue idee in fatto di politica estera, bensì che cosa pensi di Stendhal, Dickens, Dostoevskij. Già per il fatto che il pane quotidiano della letteratura è proprio l’umana diversità e perversità, la letteratura si rivela un antidoto sicuro contro tutti i tentativi […] di dare una soluzione totalitaria, di massa, ai problemi dell’esistenza umana.

6f00771e9184485799412f67c4df1f01_w_h_mw650_mhDi tutt’altro tenore, una prosa più narrativa e sognante, è quella di Fondamenta degli incurabili (Adelphi), piccolo prezioso libro offerto da Brodskij alla sua Venezia, città dove scelse di vivere e in cui ora riposa. Una Venezia autunnale e notturna, il cui nobile splendore è trasfigurato in una narrazione che intreccia passato, sogno, realtà e nostalgia. Una Venezia-San Pietroburgo dell’anima, in un testo che, seppure in prosa, è fra i più poetici di Iosif Brodskij.

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Buona lettura!

Le immagini di Rilke e Brodskij sono di pubblico dominio e sono tratte da Wikimedia Commons.