Alzare i pugni al cielo come antenne per il paradiso: la musica strumentale dei Godspeed You! Black Emperor

Non è raro, di questi tempi, imbattersi in grandi musicisti che, dopo anni di pausa, decidono di incrociare nuovamente gli strumenti: il “fenomeno” della reunion, in quest’ultimo decennio, è diventato quasi una prassi consolidata. In diversi casi, i risultati prodotti sono stati all’altezza delle aspettative, in molti altri il livello della proposta è andato calando rapidamente.

Oggi, su BiblioMediaBlog, vogliamo parlarvi di uno dei progetti più affascinanti nati negli anni ’90 e ritornato in scena dopo lungo tempo, ovvero i Godspeed You! Black Emperor – il punto esclamativo si è spostato all’indietro lungo il nome della band, più o meno ai tempi dell’ultimo album, prima dello scioglimento temporaneo. Il collettivo canadese, infatti, ha ripreso la propria attività discografica all’inizio del decennio in corso, pubblicando due album notevolissimi; ciò di cui vi racconteremo oggi è però la prima fase della band, quella che davvero ha contribuito a scrivere la storia della musica degli ultimi vent’anni (gli album presenti in free download su MLOL infatti appartengono a questo primo periodo)

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I GY!BE si formano a Montreal alla metà degli anni ’90 – e ci sarebbe da dedicare un saggio anche solo alla grandezza del Canada musicale a cavallo tra i due millenni. Il nome è preso da un vecchio documentario giapponese in bianco e nero che raccontava di una gang di bikers, la figura cardine è subito quella del chitarrista Efrim Menuck: ma per la band si può ragionevolmente usare il termine di “collettivo”, dato che in breve finisce per incorporare molti elementi – dieci quelli ufficialmente accreditati sull’album di debutto, esclusi i musicisti ospiti.

Lo stile è unico e immediatamente riconoscibile: i brani sono lunghi, lunghissimi, e incorporano atmosfere dilatate e clangori inquietanti, cavalcate post-rock e aperture sinfoniche commoventi, influenze etniche (spesso il Medio Oriente è vicinissimo) e registrazioni di dialoghi e discorsi (spesso dal tono politico radicale). Il tutto senza mai sembrare autocompiaciuti, anzi sempre con una fortissima voglia di comunicare un messaggio e una potenza elettrica che trova nei concerti la sua massima espressione – basti pensare all’ultimo concerto tenuto dalla band in Italia, a Bologna, quando l’onda d’urto del suono dei canadesi ha zittito per diversi minuti l’impianto elettrico del locale che ospitava il live.

god_f#a#infinityIl disco da cui partire per iniziare a conoscere i GY!BE è il loro esordio del 1997, singolare fin dal titolo: F#A#infinity (si pronuncia “F-sharp, A-sharp, Infinity”, con riferimento alle tonalità con cui si aprono le facciate del disco). Sono solo tre brani, ma ognuno contiene un’infinità di variazioni: basti il primo pezzo The Dead Flag Blues, con la sua introduzione parlata basata su un testo – The Dead Flag Blues, appunto – scritto dal chitarrista che narra di una città abbandonata e dai contorni post-apocalittici; tempo qualche minuto e ci si infila, in modo naturalissimo, in una sezione di lenti arpeggi e violini che ricordano da vicino certe cose dei Dirty Three di Warren Ellis. Dopo una pausa dove solo apparentemente non accade nulla, il brano si apre a toni epici, pur se in modo sempre quieto; e poi, tutto si chiude con una specie di valzer suonato al glockenspiel.
East Hastings, dopo la consueta introduzione, inizia a crescere inesorabilmente per molti minuti – dieci, tanti ne dura la sezione centrale chiamata The Sad Mafioso – con una sezione ritmica elastica che accompagna chitarre e archi (anche il violoncello gioca un ruolo fondamentale nella musica dei canadesi). Il brano esplode in un crescendo vorticoso e poi si ferma di colpo, per sprofondare in un cupo drone: quasi un’introduzione per il collage di mezz’ora che va a comporre il terzo pezzo, Providence, che alterna voci e rumori a sezioni per archi, parti in cui la ritmica ha il suono minaccioso e malinconico di una marcia militare ad altre in cui le chitarre travolgono tutto. Si tratta di un esordio in tutto e per tutto unico, che Pitchfork inserisce al 45° posto nella classifica dei 100 migliori album degli anni ’90. Ma il meglio deve ancora venire.

god_slowriotSlow Riot For New Zero Kanada, uscito nemmeno due anni più tardi, presenta due soli brani, entrambi straordinari. Si comincia con Moya, che prende il nome da uno dei chitarristi dell’ensemble, Mike Moya. Un’introduzione subito cinematografica di soli archi e poi, a poco a poco, chitarre e batteria prendono il sopravvento: una melodia ascendente che commuove mentre il ritmo si avvita in qualcosa che somiglia a una danza di corde e pelli. Una composizione che è forse uno dei punti più alti della musica contemporanea, chiusa da un riverbero che conduce al secondo capitolo del disco, Blase Bailey Finnegan III, costruita ancora una volta sulle parole sconnesse di un misterioso personaggio, lentamente sommerse da crescendo strumentali – succede due volte, allo stesso modo, prima che l’album vada a spegnersi in maniera struggente.

god_liftAnticipato da un artwork incredibile – recuperatelo, se potete, in vinile o cd – Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven arriva  un anno dopo l’opera precedente, nel 2000, ed è più o meno unanimemente considerato il capolavoro dell’ensemble canadese. Anche questa volta le tracce sono poche – quattro – ma l’album è un doppio, dato che tutte si aggirano intorno ai venti minuti di durata; come nell’esordio, poi, ognuna di esse è suddivisa in parecchi movimenti: pensiamo ad esempio a Storm, che investe subito con una melodia di una bellezza abbagliante e regala una meravigliosa sinfonia elettrica che sfuma nei consueti mormorii e rumorismi, con tre minuti di pura poesia proprio in fondo – una voce che gracchia nella distanza, un pianoforte che sembra resistere a un uragano. Static e Sleep sono costruite più o meno allo stesso modo, con le medesime, impressionanti esplosioni di chitarre, mentre la conclusiva Like Antennas To Heaven recupera la frammentarietà di Providence. Un capolavoro che chiude un’epoca.

god_yanquiIl miracolo non si ripete con Yanqui U.X.O., ma il risultato è comunque più che buono: l’ultimo album prima dello scioglimento temporaneo è davvero intenso, oltre a essere il più esplicitamente politico dei GY!BE, che non hanno mai fatto mistero delle proprie inclinazioni filo-anarchiche: parlano chiaramente in tal senso gli ordigni del titolo e i missili in copertina, il diagramma inserito nell’artwork che spiega le malefatte delle major musicali, i riferimenti all’Intifada e alla questione palestinese disseminati tra titoli e atmosfere. La musica è meno “romantica” e più granitica, perde qualcosa in poesia, ma 09-15-00 e Rockets Fall On Rocket Falls sono comunque brani da non perdere: da qui il collettivo ripartirà quasi un decennio dopo per dar vita a nuove tempeste elettriche, in modo però più emozionante.

Se la vostra biblioteca vi propone il servizio MLOL e ha sottoscritto al suo interno quello di MP3 Download offerto da Freegal Music, vi basterà accedere alla sezione adatta e digitare “Godspeed” nella sezione “Artista” della ricerca: compariranno quindici brani, che sono quelli di cui vi abbiamo appena raccontato e che speriamo di avervi invogliato ad ascoltare; in pochissime settimane potrete scaricarli gratuitamente e conservarli per sempre. Siamo convinti che, particolarmente per questa musica così difficile e così emozionante, ne valga la pena.

Immagine di Kmeron, alcuni diritti riservati