Nel libro Retromania, Simon Reynolds, uno dei più famosi e stimati critici e scrittori musicali attualmente in vita, analizza la musica degli ultimi quindici anni mettendo in evidenza come dopo gli anni ’90 non siano mai emersi movimenti musicali genuinamente nuovi. Il retrofuturismo, la trasposizione al futuro del fantasma di ciò che è stato, è diventato il canone estetico predominante e, seppure in realtà nella storia della musica tutte le nuove correnti siano sempre state fino a un certo grado dei rimescolamenti di quanto già sentito, mai come negli ultimi anni la rielaborazione e la riproposizione sistematica di quanto già creato è diventato il modo di fare più diffuso, con dinamiche simili sia all’interno del mondo mainstream che in quello DIY (Do It Yourself).
L’analisi di Reynolds, per quanto spietata, è difficilmente contestabile: viviamo nell’epoca del “tutto e subito”, con possibilità praticamente illimitate di conoscere e ascoltare qualsiasi cosa venga pubblicata o condivisa, ma difficilmente riusciremo nuovamente a sentire quella musica “che ti cambia la vita” come è potuto succedere nelle decadi passate.
La mancanza, forse per sempre, di movimenti musicali e culturali generazionali, come negli anni ’90 sono stati ad esempio il grunge e la club-rave culture, non significa però che la musica negli anni Zero sia stagnata in una mera riproposizione del già sentito. Suoni, melodie, ritmi del passato sono stati masticati, rielaborati, metabolizzati, e ciò che ne è risultato in certi casi ha rappresentato comunque qualcosa di nuovo e originale, in senso pieno.La musica dell’Hyperdub, etichetta londinese nata nel 2005 e ancora in attività (è da poco uscito l’album celebrativo del decennale, lo trovate su MLOL selezionando come chiave di ricerca album: Hyperdub) e soprattutto di quello che è probabilmente il suo più famoso interprete, il misterioso produttore Burial, hanno segnato in maniera profonda il modo di sentire certi suoni. Il risultato è che ritmi e suggestioni appartenenti dapprima unicamente al mondo della musica elettronica (e, nel caso dell’Hyperdub, a quel sottogenere aritmico che è la dubstep), sfondassero i recinti di genere e venissero utilizzati e apprezzati anche in territori musicali originalmente lontani.
Come in una strana forma di teologia negativa, è più facile parlare di Burial anzitutto descrivendo quello che non è. Di lui si possiedono solo schegge di identità, una o due fotografie gettate in pasto ai social, un nome (William Bevan) che potrebbe benissimo essere una finzione, l’ennesima maschera sotto cui celare la propria esistenza.
Ciò che si sa: William Bevan – Burial, è (dovrebbe essere) un ragazzo sui 30 anni, vive in qualche sobborgo londinese, grande appassionato di uno dei grandi movimenti musicali targati UK degli anni ’90, la jungle, compone nella sua cameretta in pieno stile IDM (Intelligence Dance Music, grossolanamente musica elettronica romantica e intellettuale per nerd poco inclini alla pista da ballo).
Non si è mai esibito dal vivo, le folle non sono la sua passione se non quando viste attraverso i vetri appannati di un autobus, l’unica cosa concreta che possediamo di lui è di fatto la sua musica. E la sua musica, ascoltata rigorosamente in cuffia o con un impianto che rispetti la dignità dei bassi, è densa come un macigno.
Nel 2006 Hyperdub pubblica il suo primo disco sulla lunga distanza, l’omonimo Burial. Il produttore inglese riprende i ritmi frenetici e tachicardici della jungle, li spezza, distorce, dilata, come in un grottesco timelapse in cui tutto si muove al ralenti.
Ascoltare in cuffia l’intero album di Burial è come fare un viaggio senza meta su uno dei tanti bus che popolano gli spettrali sobborghi londinesi durante le fredde e bagnate notti inglesi (Night Bus). Le scaglie sonore si conficcano nella mente dell’ascoltatore come ombre confuse (Distant lights) che si intravedono attraverso la condensa dei vetri, mentre una voce lontana continua a chiedere aiuto. La sensazione è di un soffocante incubo, tutto è imbevuto dalla stessa profonda malinconia che ti avvolge al termine di una festa scatenata.
In Spaceape la ruvida voce dell’omonimo MC (Stephen Gordon, collaboratore di Hyperdub, scomparso nel 2014) parla dall’oltretomba descrivendo uno scenario di iper-realtà malata e desolata alla Blade Runner. L’album sembra trovare una propria sofferta e malinconica pace con Forgive e Broken Home, dove si respira un’aria di dimessa liberazione. Ma ecco subito che con l’accoppiata Prayer e Pirates tutta la serenità svanisce e si riviene gettati in un clima di fredda claustrofobia. Fine della speranza.
Archangel, prima traccia di Untrue, album che segue a distanza di un anno la pubblicazione del primo LP, squarcia con la forza di un raggio di luce il cielo plumbeo dell’universo Burial. È una traccia di una bellezza romantica e struggente che non sarebbe mai potuta entrare in Burial (2006). Untrue si abbatte come un cataclisma sul movimento dubstep inglese, andando ad esplorare confini che non erano mai stati battuti. I suoni emergono come i crepitii di un vecchio giradischi con la puntina ormai sul punto di spezzarsi. Lo sfondo sonoro è un continuo riverbero, un’eco di frequenza a nostalgia delle vecchie radio pirata che con le proprie antenne abusive avevano ridisegnato lo skyline londinese durante gli anni d’oro della jungle.
Con Near Dark Burial ci fa subito però ritornare alla realtà: i tempi della colorata e pazza Madchester sono finiti da un pezzo, l’atmosfera è meno oscura ma la salvezza è ancora lontana. I battiti sincopati di Untrue cristallizzano definitivamente lo stile Burial, sul quale si getteranno a man bassa artisti delle più disparate aree musicali.
L’album termina con Raver che è la chiusura del cerchio, si ritorna ancora nell’Inghilterra dei primi anni ’90, l’atmosfera è quella dell’alba che sancisce la fine del rave, ciò che rimane della densa e assoluta felicità provata durante la festa è una dolce ombra. Una leggera serenità ci riporta alla nostra vita di tutti i giorni.
Untrue è l’ultimo LP di Burial, negli anni successivi seguiranno altri EP, alcuni dei quali frutto di collaborazioni illustri. Ne sono un esempio i lavori realizzati assieme a Thom Yorke, cantante dei Radiohead, e a Four Tet.
Nonostante molte di queste ultime produzioni abbiano mantenuto alto il livello della musica dell’artista inglese (disponibili su MLOL anche Street Halo e Kindred), sulla lunga distanza le due produzioni, e in particolare Untrue, rimangono insuperabili per originalità e freschezza di composizione.
Sicuramente album come Kid A dei Radiohead e Discovery dei Daft Punk hanno sdoganato alle grandi masse sonorità tipicamente elettroniche in misura maggiore rispetto a quanto fatto da Burial e dalle produzioni dell’Hyperdub in generale. Rimane fuori discussione però che l’enigmatico produttore inglese ha contribuito a far sì che un mondo tendenzialmente elitario e chiuso come quello della dubstep riuscisse a varcare i confini dei più disparati generi musicali, andando a imprimere la propria sensibilità e i propri suoni all’interno di un intero decennio.
Se questo mondo vi incuriosisce, potete trovare su MLOL l’intero catalogo dell’Hyperdub. Concludiamo con un consiglio per i vostri primi 3 download su MLOL: Distant Lights (Burial), Archangel (Untrue) ed Etched Headplate (ancora da Untrue).
Buon ascolto!