L’autobiografia è un genere letterario di lunghissima tradizione, basti pensare che la prima, Le Avventure di Sinuhe, è comunemente fatta risalire all’Egitto del X secolo a.C. Scritte in versi, in forma di saggio, di fumetto o come pièce teatrale, hanno sempre avuto grande fortuna nel corso dei secoli e spesso hanno saputo raccontare, attraverso i personaggi rappresentati, lo spirito dei tempi in cui questi hanno vissuto.
Recentemente la pubblicazione di autobiografie riscuote un certo interesse tra gli sportivi: calciatori, sciatori, nuotatori, scalatori che si cimentano con il racconto delle proprie gesta. Sono opere spesso scritte a quattro mani, o comunque affidate a sapienti ghostwriters, cosa che non ne pregiudica il grado di autenticità e l’enorme successo: del resto molte sono le rivelazioni inedite che solitamente vi sono contenute. Uno dei temi che riscuote più interesse tra il pubblico è quello dei primi anni di vita dei nostri idoli sportivi: spesso un’infanzia negata, dedicata anima e corpo allo sport è ciò che unisce, al di là delle discipline, queste memorie. E sono anche molte le pagine dedicate agli intrecci amorosi, spesso tutt’altro che lineari, che in molti casi legano il mondo dello sport a quello dello spettacolo e della politica. Il successo di alcune autobiografie non solo le rende fenomeni editoriali mondiali, ma spesso può portare alla pubblicazione di nuovi libri, altre autobiografie che glossano, puntualizziamo, smentiscono o polemizzano, in ogni caso si confrontano con un testo precedente.
Il caso più eclatante è Indoor, l’autobiografia di Mike Agassi, che si pone in dialogo con Open, le fortunatissime memorie del figlio tennista Andre.
L’autore in questo caso non polemizza direttamente con il figlio e si assume tutte le responsabilità, nel bene e nel male, del successo del tennista, riconoscendo anche l’enorme stress a cui ha sottoposto tutti i suoi figli quando erano piccini:
… prima che Andre uscisse dalla maternità, progettai un attrezzo speciale per la sua culla: una palla da tennis appesa a una racchetta di legno. Ogni volta che qualcuno passava vicino alla culla, toccava la racchetta. E ogni volta gli occhi di Andre seguivano la palla. La mia teoria era che per lui sarebbe divenuto naturale, crescendo, vedere una palla da tennis che gli veniva incontro.
Pur trattando la figura del figlio, Mike Agassi racconta molto del mondo del tennis; ma il libro è anche un avvincente racconto di come un migrante iraniano arrivato negli USA senza conoscere una sola parola d’inglese abbia lavorato duramente per migliorare la propria situazione sociale e economica. Una storia che incarna perfettamente il sogno americano, impreziosita dal successo sportivo del figlio Andre.
Per restare al tennis, da non perdere Sul serio, l’autobiografia di John McEnroe, uno dei campioni più amati di tutti i tempi, famoso per il suo talento cristallino – è stato l’unico giocatore ad aver vinto un torneo ATP in quattro decadi differenti – ma celebre anche per il suo carattere esplosivo, pronto a detonare fragorosamente in ogni momento contro giudici, avversari, pubblico.
Se McEnroe ha atteso il ritiro prima di raccontare la sua storia, uno dei campioni più forti degli ultimi anni, Rafa Nadal, lo ha fatto quando era sulla vetta del mondo. Nadal è considerato il vincitore, secondo John McEnroe, della più bella partita della storia, ossia la finale di Wimbledon del 2008 giocata contro Roger Federer. E non a caso il libro, Rafa. La mia storia si apre proprio con un capitolo dedicato a questa vittoria.
Particolarmente interessante affiancare la biografia di uno dei campioni di oggi con quella di John McEnroe perché emerge quanto sia cambiato il mondo del tennis: uno sport che oggi impegna i giocatori dodici mesi all’anno, in una girandola continua di tornei che richiedono un impegno psicologico e fisico sempre maggiore, in cui le carriere sportive non possono più durare molti anni.
Il ciclismo, uno degli sport più amati in Italia, è protagonista in due libri: il primo scritto da un campione di ieri, Francesco Moser, Ho osato vincere; il secondo raccoglie le memorie di un grande ciclista che si è appena ritirato, Ivan Basso, In salita controvento.Si tratta di due libri collegati da un filo sottile: Ivan Basso racconta di aver deciso di vincere un Giro d’Italia il 5 giugno 1984, a soli 7 anni, quando assistette all’Arena di Verona ad una vittoria proprio di Francesco Moser. La vita sportiva di Moser è nel mondo del ciclismo unica perché il campione ha avuto la capacità di vincere i grandi giri a tappe, le classiche del nord e inanellare record mondiali di velocità su pista, l’ultimo all’età di 33 anni.
Quella di Ivan Basso è invece la vicenda di un atleta che ha ammesso di essere rimasto ammaliato dalla sirene del doping, purtroppo una piaga ancora da debellare nel ciclismo contemporaneo. Ivan il terribile ha accettato e scontato una dura squalifica, ma è ritornato a pedalare e a vincere un Giro d’Italia: la sua autobiografia espone tutta la sua vicenda senza reticenze.
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